Udine
Teatro Palamostre
di e con Angelo Floramo
musiche eseguite dal vivo dal gruppo Fior delle Bolge
fisarmonica Federico Galvani
batteria Alan Liberale
violoncello Luca Zuliani
luci Mau Willy Tell
coproduzione Tinaos e Vitamina T
Il percorso narrativo e drammaturgico è incentrato sul tema della “frontiera” che si contrappone a quello del “confine”. Una successione di quadri che sappiano evidenziare quanto una linea porosa e frastagliata, in cui nei secoli gli accenti, i canti, le voci e le identità si sono mescolati in un mosaico inclusivo e policromo, sia stata spezzata in una successione innaturale di contrapposizioni storiche, ideologiche, linguistiche e culturali ottenute attraverso le guerre che mai altrove come in questa sanguinosa e bellissima “terra di mezzo” sono state fratricide. Il filo conduttore sarà proprio quel senso di straniamento continuo e di ribaltamento in cui lo spettatore verrà invitato a perdersi, in un labirinto di racconti e di episodi che accostano la parola alla musica, in un dialogo giocato “sul bordo del mondo”. Il tema dunque sarà il capovolgimento delle prospettive sulla linea che unisce e divide, nel tempo e nello spazio, e che ancora corre lungo le vallate del Vipacco e dell’Isonzo, o sulle colline del Collio e della Brda, dal tempo remoto in cui gli dei pagani hanno combattuto contro il Cristo delle armate dell’imperatore Teodosio, trasformandosi in sogni, sussurri, leggende, riti, canti, suggestioni, fino ai muri abbattuti da Franco Basaglia. Perché se qualcosa ci insegna la frontiera è proprio il voler assumere la prospettiva del matto che più di chiunque altro intuisce il senso della verità, scompigliandone le carte. Lo spettacolo sarà di architettura variabile, costruito e giocato su quadri fra loro intercambiabili, assemblati modularmente in modo tale da poter essere sempre diverso ad ogni esecuzione. Una valigia di cartone allacciata con lo spago, il bagaglio di ogni errante, un repertorio pieno di storie che raccontano l’antinomia fra confine e frontiera attraverso i profili e le voci di coloro che se ne sono lasciati attraversare nel tempo. Si dirà, ad esempio, di quando il Demonio abitò a Gorizia, nel 1563. Così almeno secondo quanto testimoniava la Santa Inquisizione, indicando nel “male” Primož Trubar, il primo traduttore della Bibbia in lingua slovena, spinto dall’intento di consentire a chiunque lo volesse di poter pregare il nome di Dio negli stessi accenti con cui lo bestemmiava. E si narreranno le voci del cimitero ebraico di Rošna Dolina, oggi schiacciato da un cavalcavia che se lo ingoia nella crudele pancia della globalizzazione, ma ancora “Beth ha Chajm”, casa dei viventi, capace di raccogliere topografie di un’Europa plurale che qui si raccolsero nei secoli, da Leopoli a Cracovia. Si racconterà della “nave dei folli” progettata dal barone Karl von Rittmeyer: un bastimento carico di ragazzi discoli e vagabondi, destinato a salpare verso l’altrove, forse l’isola che non c’è, liberando la città, come avrebbe voluto quel distopico signore, da tutti gli sghembi, i randagi, gli inconcludenti, e perché no anche i poeti, i musicisti, i filosofi, che secondo i dettami della “nuova scienza dell’economia “non apporteranno mai “benefizio alcuno alle casse della Città!”. E poi si ricorderanno i ragazzi che negli anni ’30 si ritrovavano nella goštilna “Pri Maksu”, per coltivare il sogno della libertà contro ogni forma di potere. Tra loro anche Mirko Brezavšček, ucciso di botte dalla milizia fascista a soli tredici anni. La valigia poi riverserà le tante storie, cartoline, lettere, fotografie raccolte su questa frontiera soffocata dal confine negli anni in cui da queste parti correva il filo della “cortina di ferro”, che da Danzica scendeva giù fino a Trieste, dal 1945 in poi. Mani, occhi, sogni e utopie di coloro che seppero sognare una terra senza reticolati e sentinelle malgrado tutto. Fino alla grande festa che vide cadere i muri a favore dei ponti, nel 2004. E oggi? Prima di richiudere la valigia di cartone e spegnere le luci, sarà necessario raccogliere ancora qualche frammento da interrogare: una scarpa sfondata, un lacerto di coperta, una borraccia d’acqua ammaccata. Orme di un’umanità raminga e ancora disperata che continua a passare lungo il tracciato del vecchio confine. La chiamano “rotta balkanica”. E qualcuno, un giorno, dovrà pur decidersi a raccontarla. Ad accompagnare in questo viaggio Angelo Floramo ci sarà il gruppo Fior delle bolge composto da Federico Galvani (fisarmonica), Luca Zuliani (violoncello) e Alan Liberale (batteria). L’accompagnamento musicale dello spettacolo si ispirerà romanticamente ai musicisti erranti che percorsero tante volte il confine tra il mondo latino e il mondo slavo e mitteleuropeo. Musicisti colti e popolari, le cui tracce troviamo ad esempio in una attestazione di Ivo Andrič, che nel suo Ponte sulla Drina parla di un fisarmonicista di origine friulana giunto a portare musiche e voci delle sue terre giù, fino in Bosnia, partendo, come ci piace pensare, dal confine del nord est italiano, in quella lunga frontiera che incerniera l’Italia al vicino mondo dell’Europa orientale. E proprio come un musicista errante dei tempi moderni l’accompagnamento musicale seguirà lo snodarsi del racconto nelle diverse tappe del suo viaggio: nei posti e nei tempi diversi che saprà descrivere e narrare.
Prenderà ispirazione dallo snodarsi delle storie, dai loro protagonisti e dai luoghi da loro vissuti. La musica procederà minimale, sui ritmi della polka e del valzer, per aderire ai ritmi dispari delle tradizioni balcaniche, procedendo spedita lungo i passi del kolo, una danza tradizionale di gruppo, popolare soprattutto in Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia, per distendersi poi sulle canzoni popolari, o inventandone di proprie e attingendo a quel caleidoscopio di lingue presenti sulla frontiera e trarne parole per cantare, giocando con loro, strutturandole e stravolgendole. Un viaggio per nutrire l’ispirazione in modo costante attraversando le tradizioni di questi luoghi, lasciandosene sedurre, accompagnare, per poi tradirle, inaspettatamente, ai fini di rimanere fedeli alla storia per rituffarsi, ancora a navigare nel suggestivo mare di musica che si stende all’orizzonte quando si procede in cerchio, piantando la propria ancora a Gorizia.
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